Lorenzo Monaco, Madonna con il Bambino
proveniente dalla chiesa di San Martino presso Agliati, fine XIV secolo, tempera su tavola, cm 61 x 96,5
La tavola si distingue per lo studio cromatico e luministico e per il raffinato chiaroscuro che rimandano al filone stilistico tardo-gotico, e precisamente alla fase giovanile di Lorenzo Monaco. L’iconografia dell’opera attiene al tipo della Madonna dell’umiltà, ossia seduta per terra, nel senso letterale dell’etimo humilis. La Vergine viene ritratta nella posa del genere ‘dolce-amara’, soave nel tenero amore materno ma al tempo stesso triste nel presagio della sorte del bambino. Le mani cingono senza sforzo il corpo del fanciullo, irrequieto e teso all’esterno, in una posa che viene sottolineata da un fine studio anatomico. Il Bambino viene colto nel momento in cui è distratto dal gioco innocente con il cardellino simbolo, ancora una volta, della passione di Cristo. Con il movimento del piccolo volatile, che si contorce freneticamente tentando di liberarsi, l’artista ne incrementa forza evocativa e significato simbolico.
Pseudo-Ambrogio di Valdese, San Michele Arcangelo e predella con Lotta degli angeli e demoni
proveniente dalla chiesa dei SS. Jacopo e Lucia, San Miniato, 1420 circa, tempera su tavola, m 1,90×0,67 e predella cm 25×65
La tavola con predella raffigurante San Michele Arcangelo faceva parte, insieme a quella con Santa Caterina d’Alessandria -anch’essa in questa sala- di un medesimo polittico. Recentemente sono state entrambe attribuite al cosiddetto Pseudo-Ambrogio di Valdese e datate, appunto, attorno al 1420. La posa vittoriosa del santo è sottolineata dagli attributi del potere, la spada nella mano destra e il globo nella sinistra, che vanno a bilanciare con il loro “peso”, diremmo “peso visivo”, l’altrimenti precaria staticità suggerita dal santo, ieratico, in piedi sul drago sconfitto e ridotto così a mero sfondo. L’elemento visivamente dominante è rappresentato dall’armatura, rivisitazione di una antiquitas più immaginata che conosciuta, decorata a foglie d’acanto sull’addome e corredata della protome leonina sullo “spallaccio”, dettaglio tanto curato quanto nascosto, indice di una componente antiquaria ancor più forte se si pone lo sguardo sulla decorazione a grandi scudi crociati della predella.
Giroldo di Iacopo da Como con “L’Annunciazione” e lo Stemma con iscrizione dedicatoria
1274, provenienti dalla cattedrale dei SS. Maria Assunta e Genesio, San Miniato, cappella del SS. Sacramento. Il rilievo con l’”Annunciazione” è stato restaurato in seguito ai danni subiti per gli eventi bellici del Luglio 1944
Le due lastre in marmo appartenevano, assieme alla colonnina che sorregge oggi l’acquasantiera, al pulpito duecentesco della Cattedrale. Sulla base delle testimonianze storiche è stato ipotizzato che fosse composto da quattro lati di cui le due lastre superstiti, l’una più lunga, con bassorilievo figurato e l’altra più corta, con un’iscrizione dedicatoria, occupavano rispettivamente il lato rivolto ai fedeli e quello adiacente. La lastra più corta riporta il nome dell’artista, Giroldo di Iacopo da Como, l’anno, il 1274, e il nome dell’allora podestà di San Miniato, Dego dei Cancellieri di Pistoia, probabile committente dell’opera, con lo stemma della famiglia. La lastra più lunga, con l’Annunciazione, è l’unica scena narrativa della struttura. Allo spazio ultraterreno occupato dall’arcangelo vengono contrapposte le cornici architettoniche del profilo merlato e turrito di una cinta muraria che cede il passo ad un arco trilobo su pilastrini occupato dalla Vergine e dalla figura defilata di un’ancella, in basso, che interrompe il suo lavoro al fuso per contemplare l’immagine. Così, sorreggendosi il mento con una mano, si fa portatrice del sentimento umano dello stupore e della meraviglia, mentre la Vergine, in atteggiamento composto, stringe pudicamente a sé il mantello, posando devotamente l’altra mano sul petto.
Neri di Bicci (Firenze 1419 – 1491), Madonna della cintola coi Santi Giovanni Battista, Tommaso e Bartolomeo
1470-1475, tempera su tavola, cm 209×218, proveniente dalla chiesa di San Giovanni di Corazzano (Pi)
Nel dipinto la Vergine, inserita all’interno di una mandorla-sepolcro, porge la cintura a San Tommaso inginocchiato. Ai lati San Giovanni Battista con la croce in mano, intorno alla quale si attorciglia il cartiglio rivelatore della futura nascita del Salvatore (Ecce Agnus Dei), e San Bartolomeo che invece sorregge una lama, simbolo del suo martirio. Questo tipo di raffigurazione, che colloca la Madonna in quello che poi è, di fatto, un monumento funebre, allude al momento dell’Assunzione attraverso un tema figurativo diffuso in tutta Europa ispirato all’iconografia mariana bizantina. L’opera è stata attribuita a Neri di Bicci come dimostrano le fisionomie allungate, gli sguardi fissi e attoniti e le vesti sovrabbondanti delle figure, dettagli che caratterizzano la fase più tarda dell’artista. Egli, ormai assunto da tempo le redini della bottega paterna, aveva acquisito una serie di conoscenze artistiche oltreconfine, senza per questo rinunciare ai suoi tratti inconfondibili. [
Bacini ceramici, fine XII sec.
provenienti dalla facciata della cattedrale dei SS. Maria e Genesio di San Miniato
I bacini del duomo di San Miniato sono oggetti d’importazione prodotti probabilmente nel Maghreb (fine del XII-inizi XIII secolo). Si trattava di forme ceramiche d’uso comune, da mensa, ma per il cromatismo vivace della parte concava venivano utilizzati anche come elemento decorativo negli edifici religiosi. I trentadue bacini– ventiquattro i superstiti- erano disposti in modo simmetrico e gradualmente decrescente, i più grandi in alto, i più piccoli in basso. Con questo espediente lo sguardo dell’osservatore veniva diretto in modo da valorizzare l’effetto di contrasto cromatico cercato nella composizione del prospetto in laterizi della facciata. I temi decorativi di maggiore fascino sono le figure di animali, soggetti dalle lunghe code ripiegate, grandi occhi e parti del corpo in posizioni che danno l’idea di un movimento scattante. I pezzi più piccoli erano decorati in modo più semplice, con disegni di tipo geometrico come, ad esempio, quello dell’ovale riempito da un motivo a graticcio.
Lodovico Cardi detto “ il Cigoli ”, Madonna in trono con Gesù Bambino fra i SS. Michele Arcangelo e Pietro Apostolo
proveniente dalla chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo di Pianezzoli, (Empoli)
La pala proveniente dalla chiesa di San Michele Arcangelo di Pianezzoli, località della campagna sanminiatese, è una delle opere meno conosciute del Cigoli. La presenza di San Michele, titolare della chiesa, nella composizione figurativa fa pensare che la tela fosse destinata fin dalle origini a quel luogo. Al centro della composizione la Vergine con Gesù infante intenta a guardare benevolmente l’arcangelo che, vinto il demonio come vuole la tradizione, sorregge la bilancia delle anime. A destra troviamo San Pietro, anziano e dallo sguardo stanco, come a sottolineare il peso delle chiavi e del Sacro Libro che ha sempre con sé. Nelle opere del Cigoli dello stesso periodo (fine XVI secolo), si colgono le forme più originali del suo stile pittorico, allora molto vicino a quello del Pontormo e costantemente ispirato dall’arte michelangiolesca
Lorenzo Lippi, Agar nel deserto
e la seconda tela “Il Sacrificio di Isacco”, terzo decennio del XVII secolo, olio su tela, entrambe provenienti dalla chiesa di Santa Lucia di Montecastello, lascito del cardinale Sanminiatelli.
Le due tele sono attribuite oggi a Lorenzo Lippi. Le accomunano la struttura compositiva e la narrazione legata alle due storie veterotestamentarie, quella del ‘Sacrificio di Isacco’ e quella di ‘Agar nel deserto’. La prima raffigura il momento in cui il Dio degli ebrei chiede ad Abramo, come prova di fede, di sacrificare il figlio Isacco avuto dalla moglie Sara (Genesi, XXII). Nel secondo dipinto vediamo in primo piano la figura di Agar, schiava egiziana, e del figlio Ismaele che la giovane ebbe da Abramo prima della nascita di Isacco. Ismaele e la madre Agar sono rappresentati nel deserto, dove furono abbandonati per volere di Sara che temeva per il primato del proprio figlio (Genesi, XXI). Nella scena, in alto, compare l’angelo che rassicura la donna sul destino che Dio aveva in serbo per il Ismaele, figlio di lei, Agar l’egizia, e di Abramo: «Dio disse: farò di lui una grande nazione». Le tele, testimonianze altissime dell’arte barocca, si esprimono attraverso forti chiaroscuri, un accentuato plasticismo delle forme e originali soluzioni compositive.
Gianbattista Tiepolo?, Educazione di Maria
1732-1733, olio su tela, cm 56×96, proveniente dalla chiesa di Santa Lucia di Montecastello, lascito del cardinale Sanminiatelli
Sulla paternità di questa tela, che alcuni studiosi attribuiscono a Gianbattista Tiepolo, sussistono ancora incertezze. Dovrebbe trattarsi di un bozzetto realizzato per la pala d’altare raffigurante l’ ‘Educazione di Maria’, destinata ad una piccola chiesa veneziana (Santa Maria della Fava). Esistono altri due bozzetti di quest’opera che tuttavia, dal punto di vista compositivo, risultano più lontani dall’originale rispetto a quello qui esposto. Secondo alcuni studiosi il bozzetto del Museo Diocesano, nonostante le piccole dimensioni, si rivela un’opera di altissima qualità per la resa pittorica, la modulazione della luce e per la gestione degli spazi, tanto da proporne l’attribuzione al Tiepolo nella sua fase matura. Un’altra serie di studi, invece, sottolinea la resa prospettica non propriamente rigorosa, concludendo che debba trattarsi non di un bozzetto ma di una copia dell’originale, destinata comunque ad un facoltoso committente.
Il Museo Diocesano di San Miniato
Il Museo Diocesano d’Arte Sacra di San Miniato è un’istituzione che risale al 1966, anche se di più remota concezione. Dopo il secondo conflitto mondiale venne promossa una campagna di restauri volta a mettere in sicurezza le opere d’arte, che provenivano dalle parrocchie del territorio e versavano in cattivo stato di conservazione. I locali delle ex sagrestie della cattedrale divennero così il nuovo museo, il Museo Diocesano. Le opere ivi esposte si fondono dunque con la storia della comunità di San Miniato, nei suoi aspetti religiosi e civili, toccando talvolta vette di espressione artistica che vanno ben oltre l’ambito locale. L’ordine delle sale segue la cronologia delle opere, dal Duecento al Settecento. Seguendo questa linea del tempo le prime, quelle del periodo medievale, cariche di simbolismi, fondi oro e figure ieratiche di santi lasciano il posto alle figure espressive e ai chiaroscuri dei dipinti barocchi e rococò.